A nome di tutti i (cani) randagi
Durante la notte sono diventato un cane randagio. Mi conforto, non sono l’unico: ce ne siamo di così poveri dappertutto! E adesso tutti hanno il diritto si sputarmi, prendermi a calci e tirare le pietre, oppure di temermi, perché no! Avere una catena al collo come segno distintivo provoca sospetto e paura. Mi disprezzano ancora di più; me lo merito rimasi senza parole per la sorpresa. Bhè, non credo alle mie orecchie. Ma il mio udito era sempre impeccabile. Il cancello si è chiuso e questo rumore significa sicuro “Fine”.
Queste chiavi non le può toccare nessuno. Nessuno può aprirmi la porta. Mi stupisco come nessuno si chieda come faccio a sopravvivere, chi mi dà da mangiare o chi possa chiederlo. Saprò rubare qualcosa per sopravvivere o difendere le mie cose se qualcuno me le vuol portare via. Ci hanno provato e continuano a farlo. Davvero nessuno mi ha mai chiesto. E se un giorno volessi ritornare il cancello sarebbe comunque chiuso! Solo per me. Nessuno si lamentava quando guardavo dall’altra parte della strada chi entrava e usciva da quel cancello. Quelli che venivano accolti a braccia aperte e accompagnati da lacrime quando se ne andavano. E io fermo a guardare quella che un tempo era la mia casa, una ferita profonda all’anima che non guarisce e non riuscire a ricordare se sono stato bravo o meno. Tutto ciò rimase nella nebbia tra lo shock di questa irreversibile uscita dal cancella e il raccapricciante suono della chiave nella serratura che a volte mi viene in sogno. Il cancello è troppo alto e non riesco a vedere oltre. Non riesco neanche a ricordare cosa ho fatto di male per meritare tutto ciò. Che colpa ho per trovarmi qui, in mezzo alla strada, in balìa della grazia o spietatezza delle persone. Non posso neanche vedere in faccia il fautore del mio destino, né vedere se ha coscienza o meno. Perché mentire a me stesso: so che non ce l’ha! Mi sono strappato il collare con le iniziali, ma lo sento ancora addosso.
È parte di me ormai. Non riesco ad abbaiare, a mordere, e ancora salto di gioia quando vedo un volto che conosco o mi sembra di conoscerlo. Ignoro lo sguardo della gente pieno di compassione per la mia situazione. Non sono l’unico cane randagio e non capisco perché. Non riesco a distogliere lo sguardo da coloro che trattano i loro cani con amore, un amore reciproco che si vede quando vanno in giro a passeggio: è certo che per loro il cancello non verrà mai chiuso! Avvertivo che mi volevano cacciare, ma non pensavo che non volevano vedermi mai più. A volte la domenica o nei giorni festivi passo da quella strada e nessuno si domanda perché non alzo la testa e perché fisso continuamente un punto in lontananza. E ancora mi chiedo che cosa ho fatto di male. Niente! E se solo avessi fatto qualcosa è davvero tanto grave e imperdonabile da rendermi un vagabondo? No, non passerò più da quella strada, non mi fermerò più davanti a quella porta e non mangierò più quel cibo preparato per me. Ora ho una nuova casa a cui devo abituarmi.
Snežana Pisarić Milić
Translate: Vesna Fogl